CHI S’ACCONTENTA GODE. FORSE.

Altrimenti detto: ma quando divento grande, imparerò a ragionare prima di agire?

Sembrava tutto a posto no? Prima, dico, sembrava andare tutto bene: un nuovo lavoro, nuovo ufficio in una zona molto bella dell’Urbe, nuovi colleghi, nuova routine, nuove conoscenze. Insomma, un bel pacchetto preconfezionato pieno di cose tutte da scoprire. Figo!

E invece no, no proprio. Perché dopo un anno e mezzo vissuto pericolosamente (a parte Marja, che è stata mia collega solo per 6 mesi, solo uomini in ufficio), dopo aver conosciuto quello che sarebbe diventato mio marito (il famoso terzo incomodo della foto che trovate qui), ho deciso che quel lavoro non faceva per me.

Stolta nana cinqueenne che hai fretta di crescere!

Ok, facciamo un momento di chiarezza. La mia permanenza in quella azienda, un broker aereo per la cronaca, può essere divisa in tre periodi di sei mesi ciascuno: i 6 mesi di aspettativa di Marja, i 6 mesi di compresenza con Marja e gli ultimi 6 mesi in cui Marja non ha più lavorato lì. L’ultimo periodo, che chiameremo il periodo nero, è stato il più difficile, non solo perché non c’era più una collega con cui condividere lavoro e chiacchiere, ma anche perché l’assetto dell’ufficio si era andato modificando poco alla volta ed era proporzionalmente aumentato il nervosismo. Il motivo? Due fattori: il nuovo capo, un ex militare che cercava di portare la struttura della caserma in via Boncompagni; il lavoro che iniziava a scarseggiare, e i guadagni a diminuire.

In questa situazione il mio ruolo si era pian piano modificato: da segretaria di direzione a contabile. Con tutto il rispetto per la categoria, una che ha sempre pensato che lo scorporo dell’Iva fosse una forma di tortura medievale, ecco no, tenere i conti non era proprio il massimo. E man mano che passavano le settimane, ogni mattina i tre piani di scale che mi portavano al portone di legno scuro diventavano la conquista del K2.

conti e scartoffie

Altra nota di colore: nel frattempo, il bellimbusto di cui sopra (mio marito, non l’ex militare) era venuto a vivere con me, nel mio buen retiro a Trastevere. Essendo anche colleghi, sono stata automaticamente trasformata anche nella sua segretaria personale, per cui chiunque lo cercasse fuori orario di ufficio si sentiva in diritto di chiamare me. Sempre. Anche al cellulare privato. E no, non è bello scatafossarsi fuori dalla doccia per acchiappare il telefono e sentirsi dire: “Oh ma non mi risponde, dove sta?”

Quindi, data la situazione, complice una serrata “corte lavorativa” da parte di un nostro fornitore e la solita dose di incoscenza, ho rassegnato le dimissioni. Vai, adieu! Tanti saluti a casa eh.

Dici: ci sta, succede nella vita lavorativa di cambiare. Tecnicamente però, il cambiamento dovrebbe avvenire in meglio, e uno dovrebbe strappare condizioni lavorative più vantaggiose, giusto? Era così?

Senti nana, mi sa che quando Lassù distribuivano i “lampi di genio”, te eri in fila per la dabbenaggine. Secondo giro.

Photo credits: Freeimages

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