Anche detto: mai schiantarsi contro il muro da soli!
Ah, il web! Una fonte pressoché inesauribile di informazioni, dati, curiosità, indicazioni. Una cosa utilissima sai nana? Non hai idea di quello che la rete possa offrirti, in termini di risorse.
Ti dico anche subito, però, che non è tutto oro quel che luccica (secondo proverbio in tre paragrafi, sto decisamente diventando grande): è necessario, fondamentale, imparare a selezionare quel che si trova e quel che si mette in rete, perché internet può essere un’arma a doppio taglio.
Ma non è di questo che voglio parlarti ora.
Pro e contro dell’uso di internet li apprenderai da sola tra qualche annetto. No, voglio fare con te una riflessione su quella grande fonte di studio sociologico che è Facebook.
Allora, diciamolo subito: la prima volta che ho sentito parlare di Facebook era il 2008, e credo di aver guardato la ragazza che mi chiedeva “Ma tu sei su Facebook?” con uno sguardo tra lo smarrito e lo schifato perché no, non ci stavo su Facebook e non capivo nemmeno il senso di averlo per guardare le foto della mia dirimpettaia.
Poi si sa: la cosa ha preso piede, ha assunto il carattere di una multinazionale (Mark, vedi tante volte ad avere fiducia nel genere umano gli errori che si fanno) e addirittura ho iniziato a lavorare con Facebook, gestendo piani editoriali e campagne pubblicitarie. Insomma, ora ci sono, e ci sono anche tanto caspita!
Sono su Facebook e ho una posizione privilegiata.
Privilegiata, perché la mia faccia, le mie parole, sono quelle di una privata cittadina che si esprime, in modo assolutamente non richiesto, sulla qualunque: bello questo film, oddio che commozione questo libro, questo politico anche no, aderisco alla tal campagna e via di seguito. Come professionista, do voce a delle realtà aziendali medio piccole, aiutandole a comunicare il loro know-how, il loro valore aggiunto, le loro peculiarità. E questo mi ha insegnato a distinguere molto bene COSA posso permettermi di dire nell’uno e nell’altro caso.
La posizione privilegiata che ti dicevo, dalla quale mi diverto ad osservare un po’ questa porzione surreale di mondo.
Sai qual è una categoria che mi sta dando tantissime soddisfazioni? I politici. Ma aspetta, non buttare gli occhi all’indietro; non parlo di quelli sulla ribalta nazionale, quelli hanno una struttura dietro che, nel bene o nel male, costruisce ogni singolo aspetto della comunicazione. Il politico locale, invece, la propria comunicazione se la cura da sé, con risultati che a volte sono davvero comici.
Sì, certo, criticare tanto per non va mai bene, e poi ognuno dovrebbe fare il suo di mestiere, non siamo tuttologi. Ma è proprio per questo che auspicherei un approccio più soft, perché, prima o poi, la frittata viene fuori.
Vado con un breve elenco, non in ordine di importanza, degli orrori social dei miei politici del cuore: hashtag senza criterio nei post di Facebook, e anche tanti; spaziature con emoji di dubbia utilità; uso del MAIUSCOLO ALLA COME VIENE, perché magari cercare come fare un grassetto o un sottolineato non è contemplato; uso promiscuo della pagina personale e, per chi ce l’ha, di quella ufficiale in nome di una libertà di espressione che, in quanto amministratore della cosa pubblica, deve sottostare ahitè! agli interessi della suddetta; uso con tecnica “specchio-riflesso!” di post, commenti, messaggeria privata e stories, e solo perché gnè gnè gnè non rende se lo scrivi e fare video con un buon audio è un bello sbatti; autoincensazione con chiosa a falsa modestia, con inevitabile intervento dei supporters a glorificare l’eroe/eroina di turno.
Io un paio di volte ci ho provato.
Ho provato a far notare alcune incoerenze, delle storture, ma ho ottenuto il solo risultato di finire in una lista di gente non gradita, soprattutto dai supporters (che in effetti the hater’s gonna hate, che deve fare, poraccio?); proprio l’altro giorno, all’ennesimo “io ho fatto…. io ho detto…” stavo quasi per rispondere con lo stesso tono. Errorone che per fortuna ho evitato, ma lo devo proprio alla stortura, in questo caso, di un’assessora. Nel leggere la sequenza di azioni svolte in prima persona di cui si beava, sono arrivata all’ultima della lista, in cui sostanzialmente si attribuiva una riparazione.
E lì il flash, il lampo.
Me la sono immaginata, cazzuola alla mano, che scoppolava cemento fresco per le riparazioni del bene pubblico, accovacciata nel mezzo della piazza con il pantalone-guaina di pelle dall’alto del suo stiletto. Ho riso, di gusto!
E allora niente, ho lasciato stare sai nana, perché faceva già ridere così. E quella risata scatenata dalla ridicola perseveranza nel voler marcare il proprio terreno anche quando non serve, mi ha fatto comprendere il concetto di “disinnescare un conflitto”.
Però adesso ho una irrefrenabile voglia di vedere un film di Lina Wertmüller…