NE’ CARNE, NE’ PESCE.

né carne né pesce

Dell’eterna “Sindrome da profilo B”

Sei mai caduta nella trappola allettante del “Test che ti svela quel tratto del tuo carattere che tu non conosci ma il cretino che ha scritto il test si“? No, certo, tu hai appena cinque anni e sai leggere parole di 4/5 lettere al massimo. Comunque, ti spiego io: nel variegato panorama delle riviste maschili e femminili (anche maschili sì, chi ti dice il contrario mente spudoratamente), proliferano innumerevoli test di personalità, con pretesa scientifica e, spesso, esiti quanto mai banali.

Sono in molti a lasciarsi tentare dai titoli accattivanti e a lanciarsi nella sfida.

Ovviamente ci cado periodicamente anche io, con un immancabile, eterno risultato: profilo B. Dove, bada bene, la maggioranza di risposte A sta a significare un estremo del presunto oggetto del test e le risposte C l’altro. Io mi posiziono sempre, e da sempre, nel mezzo. La giusta misura di tutte le cose, l’equilibrio perfetto di ogni emozione, la giustapposizione tra Yin e Yang.

Perché quando l’equilibrio riguarda te non sembra così affascinante? Photo – @jeremy_thomas

Ma è proprio vero che la virtù sta nel mezzo?

Io me lo chiedo spesso, almeno ogni volta che mi ritrovo a leggere l’immancabile profilo intermedio a cui corrispondo. Perché, insomma, a volte guardandomi intorno ho la sensazione che questo specifico aspetto dell’essere virtuosi sia una bella fregatura! Una fregatura, sì, perché non ti senti mai né carne né pesce, in un’eterna adolescenza che non ha il sapore delle cazzate che si fanno a 16 anni, ma della non appartenenza all’età adulta e nemmeno a quella dell’infanzia.

I profili A o C, i due estremi del test, vivranno di eccessi? Sono tipi super ordinati o tremendamente disordinati? Razionali e calcolatori anche quando si innamorano o vivono tutto di pancia? Ma, soprattutto, sono felici nel loro profilo ben definito? Sono soddisfatti?

Posso essere figa come la ragazza della copertina dei test? @cleo-vermji

Io non sempre ci riesco.

E mi torna in mente Ligabue che canta “chi s’accontenta gode così così”, e quindi no, non vorrei accontantarmi! Ma credimi nana, non è valso nemmeno barare ai test per sfuggire alla morigeratezza! Forse, ma dico forse, è anche per questo che fatico – proprio tanto! – a diventare grande.

MA TU NON TI FERMI MAI?

Photo by Bruno Nascimento on Unsplash

Ovvero, quello che i grandi vogliono da te.

Quando tre anni fa ho firmato il contratto a tempo indeterminato (ne avevo parlato qui) ho indubbiamente raggiunto un traguardo che è precluso a molti, oggi come oggi. Ma ogni traguardo, si sa, diventa punto di partenza per una nuova sfida, e così dall’inizio di questo anno ho cambiato lavoro.

“Eccola, è completamente impazzita!”

Impazzita sì, ma con stile!

Si, lo so, è una frase che hanno pensato in molti, magari pure tu che sei una nana di cinque anni e hai anche il diritto di fregartene. Perché ovvio, non è logico, non è una scelta logica. Quando la gente, prima, mi chiedeva informazioni sul lavoro, alla mia risposta partivano osservazioni che suonano più o meno così: oh be ora che hai un lavoro sicuro (sicuri, sicuro?), a due passi da casa sarai contenta, sarai soddisfatta, sarai realizzata” .”Eh pensa, puoi lavorare e seguire i tuoi figli, riesci anche a fare la spesa rientrando, puoi gestire la casa (cucinare, lavare e pulire, ndr) “Cosa vuoi di più dai, PER UNA DONNA va bene.”

Adesso restano tutti a bocca aperta, e i più educati si limitano a sorridere e annuire.

Quelli più audaci, o semplicemente quelli con cui ho più confidenza, chiedono le motivazioni di cotanta scellerata decisione. Qualche tempo fa, addirittura la reazione è stata una fragorosa risata seguita da un “Certo che te non hai proprio pace con ‘sta situazione eh?”, più sguardo di disapprovazione.

Ora, protagonista di questo siparietto è stata una donna, chiaramente grande. Una donna, tra l’altro, per cui nutro sincero affetto e profonda stima, la cui reazione (spontanea e certamente priva di qualunque doppio fine) mi ha costretta a riflettere su come mi si vede da fuori in questa circostanza.

Non che mi importi poi molto eh, di come mi si veda, chiunque ha diritto ad una opinione disinformata sul mio conto; chi c’è stato, e quindi sa, ha sicuramente una visione diversa e più completa. Magari non condivide comunque, ma conosce le motivazioni.

Eppure questa persona, per cui continuo a nutrire affetto e stima, ha sentito la necessità di sottolineare come le mie scelte non fossero allineate con le sue, non fossero rispondenti a ciò che ci si aspetta da una donna adulta, moglie e madre di famiglia (nonché titolare del 50% di un mutuo ventennale).

L’ennesima scelta non da grande insomma.

Valutare pro e conto, questa è una scelta da grande.

Chiaramente, ho i miei buoni motivi per aver fatto questa scelta e per non aver sentito la “soddisfazione” che gli altri mi attribuivano. Probabilmente non sono quelli più otodossi che ci si aspetta una persona adulta, ma non sono pronta a mettere da parte tutte quelle cose che mi definiscono come persona in nome della famiglia o del mutuo. Che mi si consideri pure egoista, o infantile, non mi interessa: io e la mia famiglia sappiamo bene quanto è stato lungo il processo che ci ha visto valutare pro e contro di ogni possibile scelta.

Per come la vedo io, nana, quello che mi interessa oggi come oggi è il sorriso disteso e rilassato che vedo ogni mattina allo specchio. Poco sotto all’occhiaia perenne.

Photo Credits: Unsplash.

POSSO SCENDERE DALLA GIOSTRA?

scendere dalla giostra

Ovvero, ogni bel gioco, prima o poi, annoia.

Hai presente, nanetta mia, quei simpatici giocattoli da scrivania per grandi? Quelli con una serie di palline metalliche messe in fila, una accanto all’altra, che vengono fatte oscillare? I pendoli di Newton li chiamano, e vengono usati per mostrare, ai grandi appunto, che hanno sempre bisogno di vedere, la teoria della conservazione della quantità di moto ed energia o, come erroneamente dicono, il moto perpetuo.

Lo so che tu non hai idea di cosa stia parlando, ma quelle palline infernali mi vengono sempre in mente quando, a fine serata, stanca e con la voglia di sprofondare nel divano, mi trovo ancora a correre dietro alle cose da fare in casa. E ad ogni passo sento il ticchettio, eterno, del loro continuo oscillare.

Me lo dicevano le altre donne, altre mamme lavoratrici, che la vita poi diventa come una giostra.

E io non le ho mai sottovalutate per carità; onestamente, credevo però si potesse prendere una pausa da tutto questo, o almeno rallentare. E invece no, non si può. E non si può per un motivo molto semplice: un cedimento, un rallentamento o uno stop temporaneo comporta spesso una serie di sfighe a pioggia che si protraggono nel tempo. Sì, posso sembrarti melodrammatica, ma ho lavorato per una compagnia teatrale non scordarlo. Si tratta comunque della verità nuda e cruda: per una sera che passo a grattarmi la pancia sul divano sconto un due/tre giorni di lavori accumulati.


Photo by rawpixel on Unsplash  

Ragionare con due giorni di anticipo, per essere sicura che qualsiasi contrattempo al lavoro non abbia ricadute sulla vita familiare.

Ma è davvero così? Davvero questo modo di fare non porta conseguenze per le persone intorno a me? Io li vedo i miei figli, li sento quando mi chiedono di fermarmi a guardare un film con loro, a leggere la striscia di un fumetto che li ha fatti ridere. Lo sento mio marito quando annuncia con soddisfazione la programmazione di un film che, lui, guarderà comodamente seduto e con i figli accanto. E sento me rispondere “Adesso non posso amore, mamma ha da fare! Dopo, tra cinque minuti”. Che inevitabilmente diventano mezz’ora, un’ora. Mai.

Tante volte ho letto dell’importanza di rallentare, di ritagliarsi spazi per sé stessi e per chi abbiamo vicino: figli, marito, famiglia, amici. Ma ho sempre pensato che fossero chiacchiere facili e basta.

Ho trovato però la riflessione fatta da Valentina Piccini (l’ironica penna “in equilibrio” del blog Mamme a Spillo) dopo la nascita del suo quarto figlio: un neonato se ne frega dei tuoi impegni, quando ha bisogno chiama, e tu devi fermare tutto e occuparti di lui. Per forza. Ora, i miei figli non hanno più “l’età beata”, di cui lei parla, in cui possono permettersi di non interessarsi al contesto, ed hanno imparato anche loro presto – come i figli di ogni lavoratrice – ad adattarsi a ritmi e routine imposte.

Ma è davvero giusto così?

Per noi e per gli altri, è giusto non sforzarsi mai di rallentare un po’? Davvero non riusciamo mai a mettere da parte un impegno, un passaggio del nostro trantran quotidiano per “concederci” a chi reclama un po’ di attenzione? Le cose da fare sono sempre molte, la società moderna pretende molto e ci assorbe, ma in questo modo ci trasforma in una fila di palline metalliche che non smettono mai di muoversi.


Photo by Clem Onojeghuo on Unsplash

E no, accidenti nana mia, io non ci sto. Perciò ti dico: ricordati di scendere dalla giostra ogni tanto, chè se riporti i piedi in terra e salti un giro, ti diverti molto di più a quello successivo.


I GRANDI E LE DELUSIONI

I delirii online che riverso in questo diario pubblico partono tutti da una riflessione anzi, da una domanda alla quale non riesco ancora a dare una risposta.

Quand’è che una persona diventa grande?

Dipende dall’età? A guardarsi intorno non si direbbe. Magari dal ruolo che uno ha nella società? Non credo. E allora cosa succede, cosa deve scattare nella testa di qualcuno per dire che è “diventato grande”?

Ci ho pensato tanto e mettendo insieme quel che vedo, sento, e quel che vivo, mi sono data una possibile spiegazione.

Si diventa grandi quando si riesce a schermarsi, bene, dalle delusioni.

Ci ho fatto caso: chi riesce a fare spallucce quando le cose non vanno come aveva pensato, o programmato, non solo vive meglio (ovvietà), ma riesce a superare il problema rappresentato dall’intoppo molto più alla svelta. Dico una cosa banale? Magari si, magari per gli altri. Per me è stata un’epifania, una folgorazione sulla via di Damasco, il famoso velo caduto.

Adesso me lo spiego perché io non mi sento grande.

Quando una persona, o una situazione, in cui avevo riposto molte aspettative mi deludono profondamente resto bloccata per un periodo indefinito, sospesa tra l’amarezza, l’autocritrica e lo smarrimento. Perché nelle relazioni, nelle situazioni che mi scelgo io investo molto, in termini di tempo, di pensiero, di energie. E tutto questo investimento costa fatica, spesso anche fisica, ma lo faccio volentieri quando penso che l’altra persona ne valga la pena.
Poi però succede che questo impegno non venga riconosciuto o, peggio, calpestato soprattutto da chi ha sempre usato la propri sensibilità come vessillo di una inesistente empatia. E in quei casi la delusione è davvero cocente. E il senso di impotenza che ti assale. Perchè, di fatto,in questi casi non si hanno difese. Non se sei piccolo, almeno.

I grandi, quelli veri intendo, scrollano le spalle e ripartono di slancio.

O almeno così dicono. Così vogliono farti credere. E magari pure loro sotto sotto rosicano, ma sanno come uscire dall’empasse senza fare figure barbine.

A me non riesce, quanto meno non ancora. Ecco perché ho l’assoluta certezza che no, non sono grande e mi serve del tempo per diventarlo. Resto ancora senza parole quando mi sento ferita, totalmente inerme. E si vede. Come ieri, quando mi sono trovata a respingere un’accusa orrenda da parte di una persona in cui avevo risposto grande fiducia. E speranza.

Speranza, questa è la chiave.

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La delusione per me è il tradimento di una speranza, evidentemente mal riposta, che in questo mondo non ci siano solo cinismo, egoismo, opportunismo e avidità. Purtroppo sono molti gli indizi che dicono che invece è così, e in questo mondo allora no, non voglio diventare grande.

Photo credits: Unsplash